Ex Ilva, scontro sindacati-governo: "6000 in cassa, è un piano di chiusura"

upday.com 1 tydzień temu
I sindacati presentano una proposta alternativa per l'ex Ilva e chiedono il ritiro del piano governativo (Immagine simbolica - Generata da IA) Upday Stock Images

I sindacati Fim, Fiom, Uilm e Usb hanno presentato oggi a Taranto una proposta congiunta per il rilancio dell'ex Ilva che prevede tre forni elettrici e quattro impianti di preridotto. Il documento, discusso con le istituzioni regionali e locali, si contrappone frontalmente al "piano corto" del governo presentato l'11 novembre dal ministro Urso e dai commissari straordinari, definito dai sindacati come un "piano di chiusura" che mette a rischio la continuità produttiva dello stabilimento.

Le organizzazioni sindacali e le rappresentanze di Acciaierie d'Italia in amministrazione straordinaria, Ilva in AS, indotto e appalto chiedono il ritiro immediato del piano governativo e la riapertura delle trattative a Palazzo Chigi. Il piano attuale prevede infatti l'incremento dei lavoratori in cassa integrazione fino a 6000 unità, rispetto alle 4550 già approvate senza accordo sindacale, oltre ai circa 1500 di Ilva AS già in cassa dal 2018.

I rischi del piano governativo

Nel documento presentato alle istituzioni, i sindacati sottolineano: «Il governo prenda atto che il piano di rilancio non è stato realizzato, il prospettato piano di ripartenza di tutti gli impianti è rimasto incompiuto e che ad oggi è in vigore la cassa integrazione per un massimo di 4550 unità, approvata senza accordo sindacale, con la previsione di arrivare fino a 6000 unità con l'attuazione del "piano corto"».

Il "piano corto" prevede inoltre la chiusura delle cokerie dal primo gennaio 2026. Le organizzazioni sindacali evidenziano che questo non solo interrompe alcune attività ma aumenta il numero dei lavoratori inattivi e produce forti tensioni sociali nei territori.

L'appello per un nuovo futuro

«Siamo a un passaggio storico per i lavoratori e la città di Taranto», si legge nel documento. Le organizzazioni ritengono «indispensabile cogliere questa opportunità per pianificare un nuovo futuro che possa traguardare, nel più breve tempo possibile, il processo di transizione ecologica e sociale in grado di garantire la tutela ambientale, occupazionale e produttiva».

I sindacati avvertono che senza un acquirente o un provvedimento adeguato, lo stabilimento non avrà dal primo marzo la liquidità necessaria per continuare a produrre, determinando di fatto il fermo di tutti i siti. Per questo chiedono al governo di garantire il finanziamento della gestione ordinaria per la prosecuzione delle attività di manutenzione.

Nota: Questo articolo è stato creato con l'Intelligenza Artificiale (IA).

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