Il PD dopo Puglia e Campania: «Perché dovremmo dire sì a Meloni?»

upday.com 2 tygodni temu
Elly Schlein del Partito Democratico durante un comizio elettorale in Campania (Immagine simbolica) (Photo by Ivan Romano/Getty Images) Getty Images

Secondo un'analisi di ilgiornale.it, il Partito Democratico ha cambiato rotta sulla riforma elettorale dopo le vittorie del "campo largo" in Campania e Puglia. Lo scetticismo verso i collegi uninominali cresce tra i democratici, complicando i piani del governo Meloni per una nuova legge elettorale.

Alberto Balboni, presidente della commissione Affari Istituzionali del Senato, ha confermato il cambio di clima: «Prima nel Pd erano possibilisti [...] ora frenano. Hanno capito che con i collegi uninominali loro non vincono ma impediscono a noi di vincere al Senato». La leader Elly Schlein, celebrando i risultati regionali, ha fatto trasparire una freddezza verso qualsiasi modifica del sistema elettorale.

Igor Taruffi, ideologo della segretaria del PD, ha tagliato corto: «Diremo no [...] perché dovremmo dire di sì? Gli uomini della Meloni ci spiegano che se non si cambia la legge elettorale non vince nessuno. Io sono convinto che vinciamo noi e allora perché dovremmo assecondarli».

Salvini scopre il proporzionale

Anche la Lega ha modificato la propria posizione. Matteo Salvini ha spiegato ai suoi: «Queste elezioni [...] dimostrano che possiamo andar bene anche con quel sistema».

Il capogruppo del Senato Francesco Boccia anticipa: «Sarà Salvini a non fargliela fare. A noi basta giocare di rimessa».

Luciano Ciocchetti, DC finito alla corte di Meloni, aveva avvertito già a novembre 2024: «[...] Proprio nel novembre del 2024, alle prime avvisaglie di un'alleanza pd-5stelle, ti dissi che se non cambiamo la legge elettorale perdiamo tutti i collegi del sud e rischiamo di essere sconfitti. Lo hai pure scritto. Dopo le elezioni di ieri ne sono ancora più convinto».

Il nodo del premio di maggioranza

Il dibattito si concentra sul premio di maggioranza al 40%. Ettore Licheri riporta la posizione di Giuseppe Conte: «Il proporzionale a noi andrebbe benissimo [...] ma non debbono farla troppo sporca e un premio al 40% lo è. Sarebbe una truffa».

Graziano Delrio ha sollevato il problema dell'astensionismo, che rasenta il 60%: «[...] Con un'astensione di queste dimensioni, che rasenta il 60%, rischiamo di dare il paese in mano ad una maggioranza che rappresenta solo il 20-25% di elettori ma che ha il potere di eleggersi da sola il Capo dello Stato e cambiare la Costituzione. Si può ragionare ma con un premio che scatta al 40% provocheremmo un guaio!».

Dario Parrini, esperto del partito in materia di legge elettorale, ricorda i vincoli costituzionali: «Sono solo déjà vu [...] che dimenticano i pronunciamenti della Consulta per la quale non si può indicare il premier, né introdurre un premio nazionale per il Senato».

L'euforia nel centrosinistra

Il PD si autocompiace dopo i successi regionali, alimentando le resistenze alla riforma. L'Istituto Cattaneo ha tuttavia confermato, come riportato da linkiesta.it, la sostanziale stabilità dell'elettorato, almeno per quanto riguarda l'equilibrio complessivo tra centrodestra e centrosinistra (largo).

Matteo Renzi ha sentenziato sulle prospettive di Meloni: «Al massimo Giorgia [...] potrà cambiare la legge di bilancio non la legge elettorale».

L'ex presidente del Senato Marcello Pera ritiene invece la riforma essenziale: «Va fatta altrimenti non governerà nessuno».

Nota: Questo articolo è stato creato con l'Intelligenza Artificiale (IA).

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