Luka Modric ha condiviso ricordi dolorosi della sua infanzia durante la guerra in Croazia in un'intervista al Corriere della Sera. Il centrocampista del Milan ha rivelato il suo sogno più intimo: ricomprare la «casa alta» del nonno, assassinato dai cetnici serbi nel dicembre 1991.
«Porto il suo nome con orgoglio», ha detto Modric parlando del nonno Luka al Corriere della Sera. La casa ai piedi del monte Velebit, in Dalmazia, dove il piccolo Luka imparava a spalare la neve e portare il gregge al pascolo, bruciò dopo l'omicidio. «Oggi è di proprietà dello Stato. Tutta in rovina, piena di erbacce. Pensano di farci un museo. Ma non vorrei che fossero altri a decidere. La vorrei comprare. Per il nonno e anche per me. Quel rudere è un pezzo della mia vita.»
La fuga e il calcio come salvezza
Modric aveva sei anni quando il nonno fu ucciso. La famiglia dovette fuggire: prima nel campo profughi dell'orfanotrofio di Makarska, poi a Zara. «Ci diedero una stanza al piano terra: papà, quando c'era, mamma, mia sorella Jasmina e io dormivamo in un unico letto», ha raccontato.
Nel parcheggio dell'Hotel Kolovare, dove vivevano come rifugiati, il bambino giocava a pallone da mattina a sera, indossando la tuta del Milan e scarpette italiane nere e verdi, più grandi di un numero. «Erano le più belle della mia vita», ha confidato. Il calcio normalizzava una vita segnata dalle granate e dagli allarmi che li costringevano a scappare nei rifugi sotterranei.
«Quegli anni mi hanno reso quello che sono», ha spiegato il Pallone d'Oro 2018. La mentalità forgiata dalla guerra - saper soffrire, non arrendersi mai - ha inciso su tutta la sua generazione, portando la piccola Croazia al secondo posto ai Mondiali del 2018 e al terzo nel 2022.
Il maestro che credeva in lui
Senza il calcio, Modric avrebbe voluto fare il cameriere. Aveva studiato all'istituto alberghiero di Borik e si era esercitato al ristorante Marina di Zara, ai pranzi di nozze. «Me la cavavo a servire le bevande», ha ricordato.
Ma il calcio gli ha cambiato la vita grazie a Tomo Basic, l'allenatore della sua infanzia e amico di suo padre. «Era amico di mio padre. Ci insegnava ad affrontare le ingiustizie», ha raccontato Modric al Corriere della Sera.
Quando tutti dicevano che era troppo piccolo e fragile per il calcio professionistico, Basic gli ripeteva: «Conta quello che pensi tu di te stesso, non quello che dicono gli altri. [...] diventerai il migliore al mondo.» Il centrocampista ha ammesso: «Senza di lui, senza le sue parole, non sarei mai arrivato dove sono.»
Gli allenatori: da Mourinho ad Allegri
Durante l'intervista, Massimiliano Allegri è entrato nella stanza abbracciando Modric. «Mi raccomando, ascoltate bene il maestro. Ha sempre ragione», ha scherzato il tecnico del Milan. Modric ha atteso che uscisse prima di rispondere: «[...] ha una personalità incredibile. Somiglia un po' ad Ancelotti: sensibile, divertente, ama fare scherzi. Ma sul campo [...] è un grandissimo [...]»
Su Carlo Ancelotti, il croato ha usato parole di ammirazione assoluta: «Carlo è il numero uno.» Ha ricordato il primo incontro a Madrid: «Io ero solo in città. Lui mi telefonò e mi disse: "Su, vieni a cena con me". Parlammo per ore, di tutto. [...] Di solito gli allenatori non danno confidenza ai giocatori. Lui sì»
José Mourinho resta l'allenatore più duro che abbia mai avuto. «L'ho visto fare piangere negli spogliatoi Cristiano Ronaldo, uno che in campo dà tutto, perché per una volta non aveva rincorso il terzino avversario», ha rivelato Modric. «Mourinho è molto diretto con i giocatori, ma è onesto», ha aggiunto. Fu Mourinho a volerlo al Real Madrid.
Milano e la famiglia
A Milano, in zona Porta Nuova, Modric vive con la moglie Vanja e i tre figli: Ivano, Ema e Sofia. Il primogenito Ivano, quindicenne, gioca a calcio. «[...] gli piace, ma non voglio forzarlo [...]», ha detto il padre. Quando Ivano nacque, faticava a respirare per una trombosi a un polmone. «Ricordo una corsa in ospedale: non ho mai guidato tanto veloce in vita mia.» Dopo i primi due figli, i medici avevano suggerito di fermarsi, ma Vanja voleva il terzo. «E quando le donne vogliono, le donne possono», ha sorriso Modric.
Ha conosciuto Vanja nell'autunno 2004, quando giocava nella Dinamo Zagabria. «La tenni al telefono tre ore chiedendole qualunque cosa, anche la più inutile, pur di parlare con lei», ha raccontato. Da allora non si sono più lasciati.
Il centrocampista ha confessato di non aver ancora visitato il Duomo né il Cenacolo di Leonardo. «Amo stare a casa», ha spiegato. Ma a Milano si trova bene: «I milanesi sono molto gentili con me.»
L'obiettivo resta chiaro: vincere ancora con il Milan, la squadra che amava da bambino per Zvonimir Boban. Il suo idolo del calcio italiano, invece, era Francesco Totti.
Nota: Questo articolo è stato creato con l'Intelligenza Artificiale (IA).




