Astensionismo elettorale: meno voti, più disuguaglianze

upday.com 2 godzin temu
Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani durante un evento politico a Firenze (Immagine simbolica) (Photo by Antonio Masiello/Getty Images) Getty Images

Le elezioni regionali nelle Marche e in Calabria hanno riaperto il dibattito sull'astensionismo. Giovedì scorso, durante la serata di Eugenio Giani al Teatro Cartiere Carrara di Firenze, si percepiva una certa preoccupazione anche nell'intervento del segretario regionale del Pd Emiliano Fossi.

Senza l'ansia di cinque anni fa, emerge il rischio che alcuni elettori possano prendere il voto con eccesso di tranquillità e restare a casa. Il partito di Elly Schlein non ha potuto rispolverare l'allarme fascismo, perché con Tomasi non avrebbe funzionato.

Le radici dell'astensionismo diffuso

Un primo elemento riguarda la capacità della classe dirigente di portare a compimento quello che hanno promesso in campagna elettorale. Troppe delusioni nascono da promesse mancate e c'è uno iato fra quello che la politica propone e quello che riesce effettivamente a realizzare.

La politica si inventa proposte irrealizzabili per attirare consenso, salvo poi accumulare progetti falliti e delusioni crescenti. I candidati dovrebbero capire per primi di non promettere qualcosa di estremamente irrealizzabile.

L'elettorato stesso presenta responsabilità, delegando alla politica la risoluzione di problemi che questa non può affrontare. C'è una richiesta eccessiva nei confronti della politica, che non può risolvere tutti i problemi della gente.

Il prezzo della disuguaglianza democratica

Non è soltanto una questione di numeri secondo gli studiosi Vittorio Mete e Dario Tuorto. «Sbaglia, però, chi pensa che sia solo la diminuzione quantitativa della partecipazione a costituire un problema per la democrazia», scrivono sul Mulino.

«Bisogna invece preoccuparsi anche (o forse soprattutto) dei suoi aspetti, per così dire, qualitativi», continuano i ricercatori. Meno elettori alle urne implica che la partecipazione diventi sempre più disuguale, con l'espulsione dal circuito democratico delle fasce più deboli e marginali della popolazione.

Ciò ha una ricaduta tangibile sugli interessi di questi gruppi sociali, la cui voce risulterà ancora più fioca nella politica di oggi. Le politiche pubbliche, decise da un personale politico che questi elettori non hanno contribuito a selezionare, risponderanno sempre meno alle loro esigenze, aggravando la loro condizione di subalternità.

Come cantava Giorgio Gaber: «La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un'opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione!».

Fonte AGI (www.agi.it)

Nota: questo articolo è stato rielaborato da UPDAY con l'ausilio dell'intelligenza artificiale.

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